From USA

Dopo tre settimane in Messico, mi trovo ora negli USA dove ne sto approfittando per seguire da vicino il vivacissimo dibattito politico attorno alle primarie. Ho partecipato con grande curiosità ed interesse ad un intervento pubblico di Barack Obama in una scuola della multirazziale ma sopratutto ispanica periferia di Las Vegas e il 19 gennaio ho assistito ad un formidabile esercizio di democrazia dal basso e di partecipazione collettiva alla politica: il caucus democratico del piccolo villaggio di Beatty nel Nevada Orientale, al confine con la democratica California.
52 partecipanti, molti anziani, pochi giovani, qualche cowboy. Sede dell’evento una spoglia sala del centro anziani del paese. Obama e Clinton rappresentati, Edwards autogestito. Tre uncommitted convinti alla fine per Obama in due e per Edwards il terzo. Cinque delegati da eleggere per l’assemblea nazionale, due assegnati alla pari tra Obama e Clinton, nonostante il maggiore numero di voti del primo e un delegato per il piú sguarnito Edwards. Trend generale quindi. I repubblicani nel frattempo tenevano il loro caucus in un’altra sala dello stesso edificio. Pochi, pochissimi, nella penombra della stanza, in cinque attorno ad un tavolo. Trend anche in questo caso si potrebbe dire. In questo momento tutta l’attenzione dei media è concentrata sui Democratici e la disaffezione nei confronti dei Repubblicani è molto alta. Evidentemente anche nella conservatrice Beatty.

Il clima che si respira è di incredibile partecipazione e passione. “Ordinary people” (come si dice qui) che attivamente prendono parte ad un fondamentale processo politico.

Il caso a voluto che nel medesimo luogo ci fossero due reporter della rete televisiva francese di canale 2 che preparavano un documentario che andrà in onda il 2 febbraio e un giovane giornalista della “International Press” che mi ha chiesto di rilasciargli qualche commento e un paragone con il sistema italiano.
Ho tentato di trasmettergli il mio grande entusiasmo per quanto assistito e gli ho spiegato come da noi non esista nulla di simile anche in considerazione del fatto che il nostro “political environment” è diverso dal loro specialmente per quanto riguarda la formazione degli stessi partiti è i loro modelli di partecipazione.

Per quanto mi è stato possibile capire da queste esperienze dirette e parlando con la gente ho concluso che la politica americana è in realtà molto piú “a casta” della nostra. Il senato americano ha una percentuale di ricambio che oscilla di media attorno al 10%. I senatori sono dei piccoli principi nei loro feudi, sono in gran parte estremamente ricchi di famiglia e spesso contano nel proprio albero genealogico altri senatori.
I rappresentanti delle province (non ricordo ora il nome esatto), che con i senatori formano il congresso, sono piú variegati nella provenienza sociale e di reddito ma decisamente meno influenti dei senatori.
A mio avviso, ad evidenziare in tutta la sua concretezza la differenza tra i politici ed i non è la parola “ordinary people” che prevede, per opposto chi è “special people”.
Assunta questa differenza sociale tra chi è politico e chi non, c’è da costatare la piú evidente comunicabilità (per lo meno in
apparenza) di queste due entità rispetto a quanto accade, per esempio, in Italia.
La trasposizione della politica su un piano piú markettaro dove l’elettore diventa cliente, ne snatura in parte rilevante le sue
caratteristiche ma d’altro canto obbliga il politico ad instaurare un filo piú diretto con il cittadino come farebbe ogni buona azienda.
Tende pertanto a parlarci direttamente, a chiamarlo per nome, ad essere efficiente e chiaro nelle risposte, a non porre intermediari tra se stesso e i cittadini in ascolto, il discorso è diretto, la posizione, oggettiva e soggettiva, è in centro e al livello degli interlocutori.

Questa esperienza americana è risultata molto interessante e mi farà riflettere a lungo.
Personalmente, allo stato attuale, credo che la Clinton abbia molte piú possibilità di vincere nella corsa con Obama. È molto piú tranquillizzante per i common americans e, sopratutto, per i “poteri forti”.
Obama è decisamente piú dirompente, piú fresco, piú giovane (sia anagraficamente che nello stile politico). Conferma ne è la parola dominante della sua campagna che fino ad ora è stata “change”. Tutto questo è probabilmente eccessivo per un america decisamente frastornata da tanti anni di conservatorismo bigotto e guerrafondaio della presidenza Bush.

Come credo che la Clinton abbia piú chance nella fase delle primarie, credo che, nello scontro con i repubblicani Obama sarebbe decisamente piú apprezzato da un piú vasto elettorato. La Clinton suscita generalmente un grandissimo amore o un altrettanto grande disprezzo.

Ora c’è la South Carolina e poi, tappa chiave, sarà la California ai primi di Febbraio.
Attendiamo gli eventi e speriamo, per quanto mi riguarda, che Obama possa avere la meglio. Non so se sarà il miglior presidente possibile ma penso che potrà essere migliore dei suoi attuali competitors.

Nota: chiedo scusa di eventuali errori di battitura ma sto scrivendo su un aereo molto traballante e dalla tastierina “touch” del mio iPod Touch (recente formidabile regalo per la mia altrettanto recente laurea specialistica).

Nel frattempo, come non fornirvi questa chicca:

Immagine anteprima YouTube

..questa è una registrazione da YouTube dell’intervento di Obama a cui ho assistito al Rancho High School di Las Vegas il 17 Gennaio.

Immagine anteprima YouTube

..questo è il servizio di France 2 andato in onda il 2 Febbraio sul caucus di Beatty (mi si intravvede con la mia reflex in mano in qualche ripresa)

http://video.google.com/videoplay?docid=-1085874794443616366